Varese | un punto di vista

Un commento sulla rassegna musicale

Il celebre pianista Fabio Sartorelli dà il suo punto di vista appassionato

Fabio Sartorelli in una delle sue accese dissertazioni
Fabio Sartorelli in una delle sue accese dissertazioni

Sono passati quindici anni dalla prima Stagione a oggi. E’ davvero molto tempo, soprattutto se penso a quante cose sono cambiate. Una volta, per esempio, il gradimento internazionale di un artista si misurava leggendo le critiche, frequentando le sale da concerto, misurando il prestigio della sua casa discografica, mentre oggi a contare è anche il numero di visite su You Tube o i follower dei social network. A differenza del passato, gli artisti sono oggi molto più attenti alla propria immagine. Ancora quindici anni fa ricevevo le loro fotografie su carta fotografica via posta. Poi le dovevo duplicare per fare la cartella stampa. Erano foto molto corrette sotto un profilo strettamente istituzionale ma spesso del tutto asettiche. Il massimo della fantasia era l’artista con lo sguardo incollato su una partitura o alle prese col proprio strumento. Se scorrete il nostro libretto trovate qualcosa di simile in corrispondenza del concerto di Herreweghe del 19 marzo. Simile, però, non vuol dire uguale e infatti Herreweghe è si davanti alla partitura ma fissa l’obbiettivo mantenendo intatta quell’aria un po’ arruffata e l’espressione spontaneamente saggia che lo contraddistinguono.

Per il resto, le foto del nostro libretto sono un’esplosione di colori, di inquadrature imprevedibili, di contesti metropolitani o naturali. C’è Angela Hewitt, grande interprete di Bach, davanti a una finestra spalancata su un ridente giardino: un bel contrasto, non c’è che dire, con le teutoniche passioni musicali della pianista canadese. C’è il clarinettista Fabrizio Meloni in posa jazzistica con le scarpe sfiorate dalle onde del mare; c’è il Quartetto Fauré in spiaggia ma in elegantissima mise da concerto con tre strumenti su quattro al seguito (il pianoforte, laggiù, non ce l’hanno portato ma se vi capita di vedere un video dei Piano Guys vedrete che ormai i pianoforti li piazzano dappertutto); c’è il giovane Kozhukhin con l’aria di quello appena atterrato all’aeroporto e il polacco Anderszewski pettinato alla moda. Fra le foto di Ray Chen ho scelto la più tradizionale: le altre erano state fatte per un servizio di moda per lo stilista Giorgio Armani che ha scelto Chen come suo figurino. C’è poi il black and white metropolitano per il Quartetto Signum, il solare sorriso di Sol Gabetta e la posa zen di Viktoria Mullova.

Se penso alle foto di quindici anni fa, posso solo dire che abbiamo assistito a una vera e propria evoluzione della specie – tradizionalmente un poco sfigata – del musicista classico.

Parlarvi delle foto era naturalmente un pretesto per introdurre gli artisti nostri ospiti rimanendo in superficie. Ora avvicinerei un po’ lo sguardo per vedere cosa effettivamente offrirà la prossima Stagione. Il primo concerto dello scorso anno con il Trio di Parma, fuori abbonamento per consentire alla associazione per la lotta contro l’Alzheimer di incassare i proventi della vendita dei biglietti, andò benissimo: tutto esaurito, grande successo. Sicché quest’anno si replica con il pianoforte di Angela Hewitt la quale ha, con grande generosità, rinunciato al proprio cachet per dare il massimo sostegno all’iniziativa benefica. Non potevamo certo chiedere di più: una grandissima artista, un atto di straordinaria generosità e un programma assolutamente nelle corde della pianista canadese, con Bach, Beethoven e Schubert.

Il primo concerto in abbonamento vede protagonisti i Virtuosi del Teatro alla Scala, un ensemble di quindici elementi, con molte prime parti e solisti dell’Orchestra e della Filarmonica, per un programma tutto italiano, il cui fulcro è rappresentato da Giuseppe Verdi, del quale ricorrono i duecento anni dalla nascita. Da tempo eravamo alla ricerca di un ensemble che ci permettesse di festeggiare degnamente il massimo compositore italiano dell’Ottocento. I Virtuosi del Teatro alla Scala ci sono parsi perfetti, non solo per via della loro lunga consuetudine con la musica del Maestro, ma anche per ciò che il nome Scala ha rappresentato nella vita del compositore. Virtuoso fra i virtuosi sarà il clarinettista Fabrizio Meloni, impegnato in una vorticosa Fantasia su temi di Traviata e Rigoletto. Nella stessa serata ascolteremo anche il meraviglioso Quartetto di Verdi in versione per orchestra da camera.

A proposito di quartetti. Quest’anno non avremo un quartetto nel senso più classico del termine, avremo però un grandissimo quartetto con pianoforte, il Quartetto Fauré da vent’anni sulla scena e, novità assoluta per la nostra Stagione, il Quartetto Signum, un sorprendente ensemble di saxofoni. Dovete sapere che mentre il quartetto per archi è tradizionalmente appannaggio esclusivo di formazioni che quando nascono si uniscono in una sorta di matrimonio artistico, finché morte non ci separi, il quartetto con pianoforte no, sono ritenuti sufficienti quattro buoni solisti che si ritrovano in occasione del concerto e via! Il Quartetto Fauré è nato, invece, sottoscrivendo la stessa idea che è al fondo delle grandi formazioni di quattro archi: suonare insieme per una vita, perché questo ha indiscutibili ricadute positive sull’affiatamento, sulla comune crescita artistica, in una parola sull’insieme. Il Quartetto Signum è invece una formazione speciale nel panorama musicale classico: quattro giovani saxofonisti che eseguono sui loro strumenti i quartetti per archi di Mozart e Šostakovič (orrore, penserà qualcuno, meraviglia dico io, vista la loro bravura e raffinatezza), adattamenti e trascrizioni, pagine per pianoforte di Ravel e, naturalmente, il Quartetto di Glazunov, una composizione scritta proprio per questa formazione dall’acclamato autore del balletto Raymonda. Insomma, una formazione giovane per un pubblico giovane; un gruppo eletto Rising Stars per il 2013/14.

A proposito di giovani: ce ne sono tanti in questa Stagione, ma tutti già assai noti a livello internazionale. C’è lo straordinario pianista russo Denis Kozhukhin con un programma ad alta caratura virtuosistica; c’è il meraviglioso Ray Chen, violinista taiwanese, classe 1989, alle prese con un classico come la Sonata a Kreutzer e con un ricco omaggio a de Sarasate. C’è poi la violoncellista argentina Sol Gabetta, già nostra ospite nel 2011, che riportiamo a Varese con non poche difficoltà, viste le numerose richieste che riceve da tutto il mondo, in un concerto eccezionalmente al sabato, dedicato all’amico Lino Conti. Poi, come sempre, ci sono i grandissimi nomi: c’è il pianista polacco Anderszewski, interprete di una registrazione discografica eletta disco dell’anno per il 2012; ci sono l’Accademia Bizantina con il nostro Ottavio Dantone e Viktoria Mullova per un concerto interamente dedicato a Bach e alla memoria di Luigi Ambrosoli, grande appassionato di musica barocca.

All’inizio, parlandovi delle foto dei nostri interpreti ho detto di aver assistito a una evoluzione della specie. Questa estate ho letto con immenso piacere l’Autobiografia di Darwin, una meraviglia per semplicità e chiarezza, e ho pensato che al di là delle differenti posizioni, scientifica e religiosa, a Darwin non sarebbe certo dispiaciuto ascoltare l’immensa Creazione di Haydn nell’esecuzione, che si preannuncia definitiva, del grande direttore belga Philippe Herreweghe. Mi domando invece cosa avrebbe potuto provare Haydn di fronte all’Origine della specie di Darwin… mah!

In questi ultimi anni Herreweghe sta incidendo i grandi oratori di Haydn: prima li studia, poi li esegue con lo stesso cast della registrazione per alcune fra le più importanti piazze europee, infine li registra. Varese è fortunatamente rientrata in questo progetto e perciò abbiamo potuto godere, lo scorso anno, di una straordinaria esecuzione delle Stagioni di Haydn, con un cast stellare che mai ci saremmo potuti permettere in situazioni diverse da quella descritta.

Personalmente non riesco a nascondere tutto il mio entusiasmo per La Creazione: immaginare, aiutati dalla musica, Dio mentre crea il cielo, la terra, il firmamento celeste, le acque, le montagne, gli insetti e tutti gli altri animali, e sentire cantare Adamo ed Eva, immersi nell’illusoria felicità del Paradiso Terrestre, è un’emozione indescrivibile. Così come lo è assistere al momento della nascita della luce, la cosa più importante per un uomo come Haydn, imbevuto di ideali illuministici. A un certo punto dell’Oratorio il testo recita, E Dio disse: «La luce sia!», e tu ti immagini che l’atto della creazione della luce, che illumina la ragione, possa essere qualcosa di grandioso, esplosivo. E invece no, Haydn ti sorprende con un nonnulla, con uno schioccare di dita, un pizzicato degli archi in sordina quasi impercettibile. Perché il Dio di Haydn è tanto più potente quanto meno eclatanti risultano i suoi gesti. Un appuntamento da non perdere, in memoria di Luigi Orrigoni.

Avendo fatto una presentazione all’insegna di Darwin, mi sembra giusto chiudere ancora una volta con lui, con un passo tratto dalla sua Autobiografia. Dovete sapere che negli ultimi anni della propria esistenza, Darwin faceva fatica a provare piacere nei confronti dell’arte. Era come se avesse perduto il senso estetico e la sua mente fosse diventata – sono parole sue – «Una specie di macchina per estrarre delle leggi generali da una vasta raccolta di fatti». Darwin stesso giudicava questa perdita come una menomazione, un’inspiegabile «Atrofia di quella parte del cervello da cui dipende il senso estetico». Personalmente adoro questa severità di giudizio nei confronti di sé: testimonia la grande sensibilità dello scienziato verso i valori umani dell’arte e della bellezza.

Oggi osserviamo una grande quantità di gente che ama la pittura, la musica, la poesia e l’arte in generale, ma ce n’è molta di più che si dimostra insensibile verso tutto questo. Darwin proponeva per sé una cura che io sento di estendere a tutti coloro che, come Darwin, hanno perduto il gusto per le cose belle, e in particolare a coloro che non frequentano la nostra Stagione. Eccola: «Se vivessi un’altra volta – scrive Darwin – mi assegnerei il compito di leggere un po’ di poesia e ascoltare musica almeno una volta alla settimana, con la speranza di mantenere attive con l’esercizio quelle parti del cervello che oggi si sono atrofizzate. La perdita di questi gusti è una perdita di felicità, forse dannosa all’intelletto e più ancora alla forza morale, in quanto indebolisce la parte emotiva della natura umana.» (C.Darwin, Autobiografia (1809-1882), Einaudi, Torino 1962, p. 121).

Fabio Sartorelli

Lunedì 2 settembre 2013